Chi ha figli lo ricorderà.
Ricorderà chi in un impeto di autoaffermazione considerava la nascita di un figlio come un evento che tutto sommato non potesse o dovesse modificare in modo sostanziale la vita. Si certo, tutti apparentemente sanno e dichiarano di rendersi conto della complessità e dei doveri che questo comporti, ma nessuno evidentemente ne ha ancora una pratica per ovvia impossibilità. Non vale avere fatto gli zii per un pomeriggio od un weekend lungo; e questo perchè lo sgravio evidente di responsabilità di questi ruoli lasciano nascoste tutte le pieghe del quotidiano e se questo non bastasse, del giusto dovere educativo. Siamo partiti in quarta, e giustamente direi, allo stesso modo di come la presenza di un bambino si presenta nelle vite dei genitori. E’ un tutto o niente, non si può contrattare. E’ un po’ improvviso come il Covid. E’ un po’ improvviso come la diagnosi di una malattia neurodegenerativa. I neogenitori sono giustamente entusiasti, ancora intrisi di soggettività ma proiettati verso un futuro comune, moltiplicato e fatto di tutto l’amore del mondo...e meno male considerando che questa è la giusta visione da avere. I vecchi nella loro saggezza ci riportano alla distanza marittima per dividere la teoria dalla pratica ed i freschi genitori se ne accorgono rapidamente con la realtà dettata da altro e non da se stessi; qui probabilmente si inizia a vedere in lontananza una divisione, una scissione, una linea di demarcazione tra quella soffice idea e le palpebre pesanti dei risvegli notturni. E tutto parte al cento per cento, non c’è un allenamento vero e proprio che si possa fare prima a parte lo yoga o la meditazione. Ci sono molte situazioni che si affrontano che hanno queste caratteristiche, non solamente la genitorialità, ma tutte quelle condizioni che ci richiedono un cambiamento rapido, un adeguamento ma attenzione: non per cambiare il posto numerato al cinema, ma per la sopravvivenza. Perchè di questo si tratta. Non voglio metterla sul drammatico, ma la nostra vita in termini di evoluzione non è strutturata per vivere, ma per sopravvivere (e ringrazio non so più chi per la citazione) ed adeguarci alla situazione contingente e quindi cambiare comportamento. Questa spinta al cambiamento deve avere una reale e forte motivazione che in tempi passati non ci abbandonava mai ma che, più di recente, si è nascosta in favore dell’idea di poter esercitare un controllo su tutto perchè protetti da tecnologia, scienza, medicina… Ora molte persone sono inadatte, o non più adatte, a percepire se stesse come transitorie od in balia di possibili eventi esterni, infatti le informazioni costantemente riportate dai media in realtà non sono così reali se non ci toccano in prima persona. Ma il Covid ci tocca e le malattia neurodegenerative così come innumerevoli altre patologie toccano direttamente e dobbiamo farcene qualcosa altrimenti saranno queste condizioni a gestirci. Non mi interessa pensare al cambiamento come ad una benedizione e non penso che tutto debba essere vissuto con l’ottimismo della promessa di una maturazione spirituale futura; ma la capacità di cambiare abitudine, idea e comportamento diventa la chiave per far fronte alle difficoltà, anche a quelle apparentemente insormontabili. Ma ho sbagliato. Non bisogna sor-montare niente, si deve scendere a patti con le nostre idee e convinzioni precedenti, con i nostri sogni e cercarne altri o altre soddisfazioni. E’ un lavoraccio, e quando non si è da soli a doverlo fare, ma i sogni a cui rinunciare si sommano a quelli di persone importanti per noi può diventare anche autodistruttivo. La cosa a tratti divertente è che una volta gli uomini primitivi, ritenuti erroneamente meno evoluti, affrontavano cambiamenti e rischi ogni giorno, cercando di adeguarsi ad una natura prevalente e molto spesso minacciosa, vivendo nel rischio costante e nella quasi totale incertezza circa il proprio e l’altrui futuro. Che cosa abbiamo perso rispetto a loro? Ma non solo. Che cosa abbiamo perso rispetto ai nostri nonni che hanno vissuto giovinezze di guerra e che comunque non hanno mai perso lo spirito e la spinta vitale? Quella cosa è la stessa che, se persa, ci impedisce di adeguarci alla genitorialità, al Covid, alla malattia e che ci impedisce di crescere e di affrontare responsabilmente una qualsiasi situazione, anche la più difficile. Non ne faccio un discorso religioso, ma di fede e di rispetto che noi ci dobbiamo e che se abbiamo nei nostri confronti dobbiamo avere anche per gli altri. Dobbiamo ritornare a crescere e a diventare grandi.
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Sarà noioso dirlo di questi tempi, ma certamente molte idee che avevamo chiare e quasi mai messe in discussione rispetto a noi ed alla nostra vita, grazie al Corona tornano in auge se non nelle discussioni, sicuramente nei nostri pensieri.
E non scostandomi da questo mi ritrovo a pensare alla salute… Eh no basta, sembra quasi di guardare un TG si può pensare; adesso non si fa altro! Medici, infermieri ed operatori sanitari si associano a povere persone che cadono vittima di questo virus in un flusso informativo h24 che sembra quello di un articolo di giornale senza mai fine come se si svolgesse su un rotolo di antico papiro. In realtà il pensiero si rivolge ad un’idea astratta che riguarda la salute in senso ampio e di cui certamente molti scritti specializzati si sono occupati; le definizioni sono cambiate nel corso degli anni e non è difficile recuperarle. La definizione attuale è sicuramente la più completa e ci obbliga, soprattutto di questi tempi, a fare una fermata ed a scendere da quel treno in corsa che è la vita, che anche in questo momento corre anche se non sembra, per riflettere almeno un pochino. Nell’ambito delle brutture portate dal Corona, qui abbiamo almeno la possibilità di riflettere o di sentire ancora di più la solitudine, di sentire il disagio e perchè no, il beneficio del rallentare e dello stare con la propria famiglia. C’è quindi di tutto, da chi vive la situazione come una gabbia a chi come una liberazione, da chi soffre nel non avere scanditi gli orari durante l’intera durata del giorno, a chi ha finalmente “bruciato” l’orologio durante un rito propiziatorio di liberazione. In pratica che cosa è successo? Un blocco forzato della vita porta ad una forte modificazione delle abitudini e di idee che portiamo avanti da sempre e che sono state formate dall’educazione e dalle esperienze vissute. Si è già verificato un terremoto interiore per chiunque, ma semplicemente qualcuno lo osserverà passare e qualcun altro cadrà nel baratro della terra rotta dalle scosse. La salute si modifica anche e soprattutto per questi motivi, per questo sconquasso legato al cambiamento delle abitudini, all’allontanamento degli affetti ed in una parola, dalla solitudine portata da questo isolamento. Certo, la salute non è solo questo, ma una gran parte. Ricordo sempre una mia paziente affetta da Malattia di Parkinson che, a ragione, diceva: “la mia terapia sono i miei nipoti”, ed era vero, anche dal punto di vista clinico, facendo scale valutative avremmo riscontrato un miglioramento da ogni punto di vista. Occupandomi di malattie neurodegenerative molte volte mi sono trovato ad avere a che fare con persone che, se immerse in un contesto “positivo”, mostravano un quadro clinico molto più stabile. Il contesto positivo è quella condizione in cui ci sentiamo capiti, ma contemporaneamente non accuditi come un bebè, ma anche stimolati e, in ultima istanza immersi in una realtà che si dimentichi dello stato di malattia e che quindi ce ne allontani nella percezione di sè. Io sono come gli altri. Sono una persona alla stessa stregua di un’altra che soffre di diverticoli. Cosciente, ma non vittima o carnefice (si perchè capita anche questo, ne parleremo). E allora la salute? Dove si trova? Come la raggiungo? Penso che si trovi tra queste righe e che ognuno la possa trovare con i propri passi, al di là di quello che una definizione possa dire e inevitabilmente tralasciare vista la sua natura. La salute è un regalo che probabilmente ci viene fatto fin da piccoli, è un modo di intendere la vita che dobbiamo continuare a coltivare durante la crescita e oltre, ed è un modo attraverso cui possiamo vedere modificata la nostra figura, noi stessi, in risposta a qualcosa che ci cambia. Non è salute non accettare l’invecchiamento. E questo è solo un esempio. La salute si può intendere come approccio, come adattamento ai cambiamenti che certamente tutti noi incontriamo e incontreremo nel tempo. Non si tratta di filosofia o di pura teoria, ma di un qualcosa che può modificare una giornata di “isolamento” per colpa di Corona, un licenziamento, una separazione, un lutto e in generale di una perdita. Se ci pensiamo è di perdita che si sta parlando, no? Guardavo giusto l’altro giorno il sito dopo molto tempo a causa della necessità di adeguarlo al recente sconvolgimento che ha investito il nostro mondo, e soprattutto il nostro modo di viverlo e conoscerlo.
Ho pensato quindi che in questi giorni così diversi dagli usuali, in un momento in cui si fanno riflessioni e ri-pensamenti, ci potesse essere un doveroso spazio per qualcosa in più. Un qualcosa dedicato al me medico e al me come uomo nell’ambito di una professione che fa del contatto e del rapporto la base fondante. E mi ci ritrovo. Ritrovo ancora quel pensiero che mi ha spinto verso la decisione di effettuare una attività lavorativa alla ricerca di un contatto personale, diverso. Un pensiero gemmato durante gli anni di specialità e poi continuato e messo in atto a partire dal 2012 con delle visite che partissero dalla persona e non dalla malattia. Durante gli anni della formazione, che è poi continua, ho sempre sentito nell’ambiente medico scientifico la forte necessità di “mettere al centro” la persona, ma con una attuazione pratica mai realmente introdotta. Non è questa una polemica dal classico sapore italico, ma la realizzazione di quanto sia difficile mettere su un piano pratico questa bella e giusta idea; non tutti forse conoscono fino in fondo quanti e quali siano i costi sanitari e quanto gli equilibri ad essi legati siano mutevoli nel tempo e conseguenti alle modificazioni sociali, economiche e politiche. Ma questa analisi non è mio compito ed interesse. Ho pensato di cercare sia a titolo personale che professionale una via per me nuova e dove mettere in atto tutto questo. Ho iniziato quindi una collaborazione con uno studio con il pensiero di poter finalmente utilizzare il mio e l’altrui tempo in modo migliore, ma non ha funzionato. Le solite logiche hanno preso subito il sopravvento non modificando per niente e non diversificando il mio lavoro ospedaliero da questa nuova soluzione. Non mi sono sentito quindi di procedere con questa attività e l’ho lasciata. Devo a questo punto soffermarmi su una premessa. Mi muovo in Milano ormai da anni su due ruote riconoscendo questa tipologia di spostamento come la migliore per me; inoltre la strumentazione necessaria per un neurologo si ferma a pochi antichi strumenti che possono essere facilmente trasportabili. L’idea quindi di effettuare visite al domicilio è stata una logica conseguenza oltre al fatto che purtroppo molte malattie neurologiche portano a difficoltà in spostamenti con il conseguente coinvolgimento di figli, amici o parenti che si adoperano proprio per il trasporto. Molte volte nel contesto ospedaliero ho visto persone messe in difficoltà nella ricerca dell’ambulatorio oppure nel raggiungimento dello stesso dopo aver percorso corridoi troppo lunghi ed avere davanti solo, quando va bene, 25-30 minuti di visita. Per questo ed altri motivi ho pensato di offrire un’alternativa alle persone, ma anche a me stesso, nell’esercizio di una professione che, resta una professione e non una missione, ma che deve essere effettuata nel miglior modo possibile. Ma ne parleremo. Certamente al mio esordio le visite domiciliari erano già ben note e già effettuate, ma mai come in quei periodi ve ne era il bisogno. La mancanza di riferimenti ammalava già di per sè o peggiorava comunque la qualità della vita; e non è cambiato ad oggi, anzi. Ed ecco ancora il solito rapporto umano di cui si parlava che, mai sparito, si faceva vivo talvolta ancora più importante della stessa malattia. Devo dire che in questi 8 anni ho avuto molte conferme della cosa oltre alla consapevolezza che il tempo, così sempre ridotto, stirato e rubato ad altro, abbia forse il ruolo più importante nella comprensione, gestione e cura soprattutto nell’ambito delle malattie neurologiche. E ritorniamo ad oggi. Ancora una volta il tempo del fatidico rapporto medico-paziente è stato ridotto, questa volta ad opera di una pandemia ma che potrebbe verificarsi in futuro per altri motivi. Nel tentativo di proseguire in questa strada iniziata 8 anni fa, ho pensato in modo un po’ antico per questi tempi, di aprire questo blog e di non utilizzare i normali social che sono forse immediati ma un po’ troppo rapidi e, a mio parere, scarsamente riflessivi. Approfittando di questo spazio vorrei portare esperienze maturate durante questi anni o altre informazioni che verranno mano a mano...o anche altro... |
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